Le indagini che hanno preso spunto dalla famigerata "Lista Anemone", dopo aver tirato in ballo numerosi politici di primo piano, sono arrivate a sondare l'operato di un famoso e potente membro del Clero: l'Arcivescovo di Napoli Crescenzio Sepe.
Il caso viene quotidianamente citato e aggiornato dai media con esiti però ben diversi: mentre i quotidiani ed i siti d'informazione riportano in genere tutti i dettagli e forniscono un discreto contesto che permette al lettore di interpretare gli eventi, chi, disgraziatamente, per informarsi si affida esclusivamente al tubo catodico (termine ormai anacronistico ma sempre suggestivo) non ha la minima possibilità di comprendere per quali motivi la Procura di Perugia stia procedendo nei confronti di un cardinale.
Spero che voi lettori facciate parte del novero di coloro che si prendono la briga di approfondire tramite fonti autorevoli le vaghe farneticazioni dei telegiornali; in ogni caso ho ritenuto opportuno raccogliere elementi utili a strutturare una chiave di lettura imparziale e indipendente.
Innanzi tutto partiamo dal primo elemento, dalla prima grave lacuna dei notiziari televisivi che non si sono sforzati minimamente di fare il proprio lavoro: cos'è Propaganda Fide?
La Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli (questa la denominazione ufficiale) è uno dei nove dicasteri della Curia Romana, l'apparato amministrativo della Chiesa Cattolica.
Istituita nel 1622, il suo scopo è di diffondere il Verbo cattolico nel mondo: da essa dipendono tutte le opere missionarie e gli organi addetti alla formazione del Clero.
La sua importanza all'interno dell'universo ecclesiastico è tale da meritare non solo un bilancio separato rispetto a tutte le altre opere cattoliche, ma anche, per il suo presidente (detto Prefetto), il soprannome di Papa Rosso.
Altro dettaglio non secondario è la portata del patrimonio della Propaganda Fide, stimato in circa 9 miliardi di Euro.
Dal 2001 al 2006 a reggere le sorti del baraccone è Crescenzio Sepe, premiato dal Pontefice per la sua gestione del Giubileo del 2000 (del quale è utile ricordare, tra sprechi e speculazioni, la disgraziata vicenda del parcheggio del Gianicolo) .
Già in quell'occasione il porporato si era affidato alle capacità di Angelo Balducci, che Sepe porterà con sé anche in Propaganda Fide in qualità di consultore e di Gentiluomo del Santo Padre.
Nel 2003 avviene l'episodio che suscita l'attenzione dei magistrati: in autunno partono i lavori per la ristrutturazione della facciata della sede della Congregazione, un imponente palazzo situato nella centrale Piazza di Spagna a Roma.
Questi lavori, mai ultimati, usufruiscono, due anni dopo, di un finanziamento pubblico di 2,5 milioni di Euro, elargito dall'allora Ministro dei Lavori Pubblici Pietro Lunardi, oggi indagato insieme al cardinale: la faccenda non convince la Corte dei Conti che parla di incongruità nei lavori: risulterebbero spesi solo 180.000 Euro per la collocazione dei ponteggi.
E gli altri soldi?
Come se non bastasse resta da capire perché lo Stato italiano si è sobbarcato il maquillage di un immobile extraterritoriale di proprietà del Vaticano.
Il nostro munifico e trasparente governo inserì il finanziamento tra gli interventi in materia di spettacolo ed attività culturali competenti alla s.p.a. governativa Arcus.
Nel progetto risulta coinvolto non solo Balducci, allora Presidente del Consiglio dei Lavori Pubblici del Lazio, ma anche l'architetto Angelo Zampolini, altro collaboratore dell'imprenditore Diego Anemone.
Secondo gli inquirenti Sepe avrebbe ricambiato il favore vendendo a Lunardi un fabbricato di proprietà della Congregazione posto nelle vicinanze di Montecitorio a prezzi stracciati.
Il cardinale promette da giorni che chiarirà la sua posizione; i maligni aggiungono che lo farà al riparo del suo passaporto diplomatico.
I magistrati hanno chiesto intanto una rogatoria internazionale per poter spulciare tra i documenti di Propaganda Fide: c'è il sospetto che altre case e altri favori coinvolgano la Congregazione ed altri uomini politici di primo piano.
Interessante notare che già tre anni or sono il Vaticano, proprietario di un quinto del patrimonio immobiliare della Capitale, ebbe il suo bel da fare con degli appartamenti di sua pertinenza.
Il caso è poco noto, passato praticamente sotto traccia nel ristretto e falsato panorama dell'opinione pubblica italiana, la quale è costretta a trarre le proprie conclusioni sull'universo potendo solo sbirciare l'anticamera dei fatti.
All'epoca, ottobre 2007, scadeva la sanatoria che congelava l'esecutività degli sfratti per i nuclei familiari considerati "deboli", cioè con basso reddito e con figli a carico, anziani, malati terminali e disabili: a Roma circa 200 famiglie disagiate o in grave difficoltà che vivevano negli appartamenti di proprietà di enti religiosi (che godono dell'esenzione dell'Ici e di metà dell'Ires) si vedono arrivare a casa l'ufficiale giudiziario.
Lo scopo dell'Apsa (Amministrazione del Patrimonio apostolico della Sede Apostolica) e dello IOR (la banca vaticana), secondo gli sfrattati, era quello di liberare gli appartamenti per poter trarre così maggior profitto che affittandoli a prezzi simbolici ad anziani e disabili.
Non pervenuta la risposta della Chiesa.
Di sicuro c'era da compiere un'opera buona: risollevare i bilanci della Chiesa, che nel 2007 avevano registrato un disavanzo di 9 milioni di Euro.
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