Non basta negare la veridicità del riscaldamento globale per avere la coscienza pulita.
Ovvero: la questione ecologista non si può e non si deve fermare al global warming, il dibattito pubblico non può fossilizzarsi sull'incidenza o meno delle attività antropiche sui cambiamenti climatici.
Bisogna sempre tener conto del fatto che diversi ambiti e diverse tematiche si compenetrano in un unico calderone: esaurimento delle risorse energetiche, riciclaggio dei materiali, conseguenze economiche delle politiche ambientali e quelle sociali e ambientali dell'inquinamento prodotto dalle attività umane.
Purtroppo c'è sempre qualcuno che, invece di sollevare semplici ma sempre legittimi dubbi sulla portata del global warming e dei mutamenti climatici, si spertica nel negare a priori la possibilità che le nostre azioni possano avere serie conseguenze sull'ambiente.
C'è sempre qualcuno disposto a sostenere che non vi è nulla di sbagliato nel nostro stile di vita attuale, qualcuno disposto anche a chiudere gli occhi di fronte ai dati scientifici e alle evidenze empiriche.
Ovviamente non posso permettermi di dare per vera la teoria del global warming: innanzi tutto perché non sono uno scienziato e non mi permetto di giocare a farlo; in secondo luogo perché la stessa comunità scientifica è divisa tra sostenitori e detrattori della teoria in questione.
Il mio punto di vista è dunque non scientifico: è il punto di vista di chi cerca di capirci qualcosa e, per fare ciò, ascolta ciascuna campana.
Non intendo neanche porre l'accento sulla questione: il mio scopo è quello di ricostruire un contorno che aiuti il lettore a riflettere in generale sul tema della nostra convivenza con l'ecosistema.
Per permettervi di approfondire la singola questione sul global warming ho linkato i dati tratti da alcune ricerche effettuate dall'IPCC, l'ente intergovernativo che studia i cambiamenti climatici, e i dati presentati dagli eco-scettici.
Sicuramente, però, a differenza dei complotti congetturati dai paranoici che temono le scie chimiche, le preoccupazioni degli ambientalisti sembrano più fondate: negli ultimi anni abbiamo registrato una serie di eventi climatici (come le sempre più numerose alluvioni in Europa) che dovrebbero invitare a riflettere.
Al tempo stesso, lasciando insoluta la questione sulla veridicità del global warming, sembra necessario sottolineare i motivi che dovrebbero indurci a riconvertire in senso eco-sostenibile il nostro stile di vita privato ed il nostro intero sistema economico-sociale.
Numerose sono ad esempio le voci autorevoli che sostengono la necessità di affrancarci dal petrolio: una risorsa non solo limitata, ma anche pericolosa sotto molti aspetti.
Innanzi tutto l'estrazione del greggio comporta alti tassi di inquinamento, il suo trasporto è spesso causa di disastri ambientali, il suo utilizzo ha dirette conseguenze, specialmente nei grandi conglomerati urbani, sulla salute delle persone e degli animali.
Per non parlare delle conseguenze sociali: è forse ridondante ricordare che alcuni regimi (come la Libia, l'Arabia Saudita e, in passato, l'Iraq di Saddam Hussein) prosperano grazie all'oro nero?
Molti derivati del petrolio utilizzati nell'industria chimica e in altri ambiti sono inoltre responsabili dell'inquinamento delle falde idriche (e teniamo bene a mente che possiamo vivere senza petrolio, ma non senza acqua potabile): la dispersione in mare di greggio e derivati influisce sulla catena alimentare dei pesci e causa patologie sia negli animali che nelle persone tramite l'alimentazione.
Queste affermazioni non sono certo smentibili: chi provasse a negare il fatto che le attività umane determinano il deterioramento dell'ecosistema (magari sostenendo che “da sempre è l'uomo, con il suo lavoro ed il suo ingegno, che crea e moltiplica le cose”) non sarebbe, a mio avviso, così diverso da quei bravi e premurosi industriali che sostenevano la non correlazione tra l'amianto e il mesotelioma pleurico, nonostante le conclusioni di numerosi studi scientifici.
Bisogna dunque investire su altre fonti energetiche: quelle rinnovabili.
Il nucleare non può certo essere annoverato tra queste per tre semplici ragioni: innanzi tutto si basa su minerali radioattivi come l'uranio che non sono certo infiniti; in secondo luogo questa fonte energetica comporta spese stratosferiche di mantenimento; infine, e mi sembra quasi inutile ricordarlo, la fissione atomica ha risvolti, in termini di sicurezza e di scorie, potenzialmente catastrofici.
Nel 2007 erano in funzione nel mondo 449 reattori: queste potenziali Chernobyl hanno prodotto complessivamente solo il 15% dell'energia elettrica complessivamente generata: a quanto pare il gioco non vale la candela.
Le vere fonti rinnovabili, in primis l'energia solare e quella eolica, richiedono investimenti minori e producono energia pulita: la possibilità di rendere autosufficienti gli edifici comporta inoltre una minore spesa energetica, a beneficio dei nuclei familiari che potranno spendere altrimenti i propri risparmi.
Il problema in Italia, per quanto riguarda gli impianti domestici, risiede nell'oneroso investimento iniziale e nella difficoltà di trovare sostegno negli Enti locali: segno, forse, che alle compagnie elettriche non piace lo scenario di una nazione di piccoli produttori che non devono più pagare le loro salatissime bollette?
Quello che so è che, tra un fuoristrada sprecone e una casa ad impatto zero, la mia scelta è scontata.
Perché, in fin dei conti, anche le nostre singole scelte entrano a far parte del bilancio globale dell'impatto globale.
Consumare meno energia elettrica, scegliere i mezzi pubblici (o, ancor meglio, le gambe) al posto dell'automobile per arrivare in centro e per spostarsi tra luoghi vicini, riciclare, non sprecare l'acqua, scegliere un'autovettura più efficiente che sportiva: questi non sono deliri da figli dei fiori, ma atti di amore verso noi stessi e verso l'ambiente.
Dunque è inutile negare: si può credere o meno al global warming, ma non si possono chiudere gli occhi sulla necessità di riconvertire i nostri stili di vita.