giovedì 30 settembre 2010

Il naufragio del bipolarismo e la placida morte del PD

Chi si aspettava una resa dei conti definitiva a destra è rimasto a bocca asciutta: il governo ha retto, grazie al voto di quei finiani che dovevano, nelle elucubrazioni di qualcuno, aspettarlo al varco e affossarlo alla prima occasione utile.
Così non è stato, anche se si è registrata la scissione formale di Fli, in futuro destinata forse a legarsi con l'eterogeneo blocco Udc-Api ed alcuni prossimi ex-Pd, il famoso "Terzo polo", per intenderci, che, a mio parere, non godrà di salute migliore rispetto agli altri due, ormai in chiaro affanno.
La fiducia accordata al governo, vuoi per sentimento di responsabilità verso il paese in un periodo di crisi nera, vuoi perché attendono che sia la Lega a far saltare il tappo, non significa certo un ritorno all'ovile, un ripensamento del "figliol prodigo" Fini, intenzionato come non mai a smarcarsi da Berlusconi (e rinunciando così ai suoi ex colonnelli, oggi mastini del premier) senza compromettere il suo avvenire politico, soprattutto sotto il profilo del consenso elettorale.
I finiani, da bravi "uomini d'ordine", come si diceva un tempo, non hanno voluto scoperchiare il vaso di Pandora delle urne, in un momento in cui il voto rappresenta un'incognita più paurosa di un governucchio stentato.
O, perlomeno, Fini non ha voluto accollarsi la responsabilità di ciò, aspettando che sia la Lega, con la sua crescente arroganza e la sua martellante propaganda, ad ordinare il "si salvi chi può" nella speranza di poter strappare alle urne forse non lo scettro, ma almeno qualche poltrona in più.
Nonché un maggiore peso specifico (come se quello che ha già fosse non sufficiente) all'interno dell'esecutivo.
Saltando a piè pari il Pdl, che rimane imbalsamato sulle sue posizioni come il partito comunista della Corea del Nord, e che può solo giovarsi dell'afflusso di qualche voto dei soliti saltimbanchi di Montecitorio o di Palazzo Madama, non rimane altro da fare che spostare lo sguardo più a sinistra.
Casini, che sta cercando per l'ennesima volta di coagulare intorno a sé abbastanza materia prima per dare forma al terzo polo, al grande centro, ecc..., ovvero a quella cosa che qualcuno sta aspettando dal 1993, gioca di sponda a destra e manca con la disinvoltura di un professionista della pelota basca: tuttavia, nonostante l'appoggio non proprio velato delle gerarchie ecclesiastiche, corre il rischio di perdere ancora una volta il filo del discorso e di ritrovarsi schiacciato da Berlusconi, in piena campagna acquisti per ingrossare le sue file e saltare l'ostacolo fisiologico dell'immobilismo.
L'Api, che sconta anche una non felice omonimia con un colosso petrolifero non molto amato dalle nostre parti, risulta essere una sigla con poco, o nullo, radicamento nel territorio, nonché mediaticamente inesistente, destinato, con tutta probabilità, ad essere assorbito da qualche compagine maggiore.
Al suo fianco, il Pd, logorato dalle sotterranee lotte di potere interne ed in pieno calo di popolarità.
Il partito che doveva riassumere le tradizioni del cattolicesimo sociale e del postcomunismo si trova a dover fare i conti non solo con l'inconciliabilità delle posizioni laiche e teo-dem, un ostacolo forse superabile, ma con il complessivo fallimento del disegno politico a livello locale e nazionale, con il quotidiano alternarsi di aperture al centro e alla propria sinistra che rischiano di trasformarsi in intrinseca debolezza e sudditanza nei confronti di compagni di strada scomodi come Di Pietro e, seppure si tratti di un'ipotesi remota, Beppe Grillo.
Il tutto condito dalla delusione di molti cittadini amministrati dal Pd, che vivono con l'impressione di avere a che fare con un comitato d'affari: non giovano certo gli scandali locali ed il comportamento palesemente clientelare di alcuni esponenti Pd nel territorio.
Il paradosso è che proprio nel Centro Italia, la colonna vertebrale del consenso geografico del Pd, si verifichi una clamorosa disaffezione nei confronti di un partito perennemente in burrasca per le prese di posizione delle sue varie primedonne e che spesso esprime governi locali che soffrono di fiato corto già dalla nascita.
Poco da dire su Idv, un partito che non è certamente esente dai vizi del malcostume politico che denuncia quotidianamente.
L'estrema sinistra offre anch'essa pochi spunti: le aspirazioni di Vendola lasciano il tempo che trovano, come le ali di cera non potevano sorreggere il volo di Icaro, mentre la galassia di sigle ancor più marginali sembrano destinate a rimanere fuori dai giochi, soprattutto con questa legge elettorale, che non permette sterili battibecchi e futili divisioni tra forze analoghe.
D'altro canto, quello che una volta era il bacino elettorale dell'estrema sinistra, la classe operaia, è ormai orientata, nel nord e nel centro, verso le posizioni leghiste.
Lasciando fuori dal discorso i movimenti più piccoli, come Forza Nuova, destinati a vivacchiare, resta da prendere in considerazione il movimento di Beppe Grillo.
Sono d'accordo con chi ha accusato i grillini di aver issato Cota sul seggio di governatore in Piemonte: inutile ribattere che la coalizione della Bresso fosse comunque espressione di una certa politica.
Non credo che la giunta Cota fosse il risultato auspicato da chi ha votato per le liste 5 stelle, né, tanto meno, dai suoi candidati.
Peculiare è il nuovo soggetto politico nato in Sicilia, Popolari per l'Italia di Domani, che riassume al suo interno esponenti ex Udc, ex Pdl ed ex Pd: una sorta di grande ammucchiata ancora avvolta nel mistero.
L'immagine che viene fuori, per concludere, assomiglia ad una vecchia polaroid sfocata: è possibile vedere i contorni delle immagini, intuire i movimenti, ma a volte è difficile comprendere la natura del soggetto raffigurato.
Sicuramente non è bipolarismo.